Le origini
Dimostratasi, in breve tempo, un’auto dalla straordinaria versatilità ed economicità d’esercizio, la Mini Classica, dopo il suo debutto, avvenuto nell’agosto del 1959, e dopo aver conquistato la clientela più snob della fredda Albione, doveva affermarsi anche il mondo del lavoro.
E’ così che, tra il 1960 e il 1961, prendono vita le versioni Van e Pick-Up.
Una delle rivoluzionarie idee del geniale progettista, Alexander Arnold Constantine Issigonis (Issi per gli amici), fu quella di montare gli organi meccanici su due telaietti separati (ant. e post.) ancorati a un pianale. Tale soluzione consentiva di modificare agevolmente il passo della piccola vettura senza doverne stravolgere il progetto di base.
Rispetto alla versione Saloon, il Van e il Pick-Up avevano il passo più lungo di 10 cm, la carrozzeria di 25 e il pianale rinforzato per il carico.
Solo 60mila esemplari uscirono dagli stabilimenti della British Motor Corporation (BMC, gruppo che incorporava i maggiori costruttori inglesi dell’epoca:Austin e Morris) di Longbridge tra il 1961 e il 1983.
In Italia, di Pick-Up ne vennero importati solo cinque, ovviamente, con la guida a sinistra.
Di queste, probabilmente, ne sono sopravissute solo tre fino ai giorni nostri.
La protagonista della storia che stiamo per raccontarvi è una di loro tenuta in perfetto stato ed ottima forma dal suo attuale proprietario, il Signor Danilo Biasiolo.

La storia

Nel 1963, un rivenditore comasco di bombole del gas, aveva bisogno di un veicolo da trasporto per le consegne adatto alle viuzze strette del centro storico della provincia lombarda, così la scelta ricadde su quel simpatico veicoletto inglese.
Dopo 10 anni di onorato servizio il Mini Pick-Up cambiò padrone e, con esso, destinazione d’uso e territorio.
Il nuovo “lavoro”, seppur meno rischioso, era altrettanto gravoso: si trattava di trasportare flipper a Monselice, in provincia di Padova.
Passati quattro anni, le “infernali” macchinette da gioco da BAR, raddoppiano le misure (e con esse anche il rumore!) e il piccolo veicolo inglese non è più in grado di sobbarcarsi quei pesi.
Il proprietario, nonostante abbia acquistato un furgone più capiente, non ha il coraggio di vendere il Mini Pick-Up, così decide di parcheggiarlo da una parte per poterlo in qualche modo riutilizzare.
In realtà, dovranno passare cinque lunghi e noiosi anni, all’ombra di una grande trebbiatrice alla periferia della città, prima che qualcuno si accorga del furgoncino inglese abbandonato.
Siamo nel 1989 e Danilo Biasiolo, titolare di una trattoria a Monselice, appassionato di auto d’epoca, già da un po’ ha notato quel piccolo Pick-Up parcheggiato vicino alla trebbiatrice di fronte all’ospedale. Trovare il proprietario del Mini PickUp, nella piccola cittadina veneta, non è certo un problema, così, dopo un po’ di insistenza riesce a farsela vendere.
Dopo un attento esame sullo stato di conservazione, il signor Danilo capisce di aver fatto un buon affare, il veicolo è completo di tutte le sue parti e in buono stato.

Oggi

Dopo venti anni da quell’incontro, il pick-up, conservato con amore e passione, accompagna tutte le mattine il signor Danilo a fare gli acquisti per la trattoria su e giù per i Colli Euganei. 50/60 chilometri al giorno per circa 20mila l’anno.
Il Mini Pick-up ha un pannello verticale in lamiera con un vetro dietro i sedili anteriori che separa l’abitacolo dalla zona carico. Il cassone piatto, è richiudibile con un telone montato su due centine in metallo.
Il motore originale da 850 cc era stato sostituito da un più recente 998 cc (modifica, peraltro, introdotta dalla BMC nel 1967). “lil Pick-Up, con quel motore, volava ”, ammette Danilo Biasiolo, ma lui, giustamente, integralista dell’originalità, rimediato, nella cerchia del suo club di auto d’epoca, il giusto motore, lo ha prontamente rimpiazzato.
In luogo delle tipiche sospensioni Hydrolastic delle prime serie, il Pick-Up monta elementi elastici in gomma (collaudati nei rally) sia anteriormente che posteriormente. Per ovviare alle sollecitazioni di un maggior carico, sull’assale posteriore vengono montati tamponi di gomma più alti e rigidi che, a vuoto, conferiscono al Mini Pick-Up un assetto leggermente “picchiato” sull’anteriore.
Come tutte le prime Mini, anche la versione Pick-Up dispone di un porta targa basculante in modo da consentire ugualmente la lettura della targa posteriore anche viaggiando con la spondina abbassata, guadagnando così altri 40 cm di lunghezza di pianale di carico.
I freni sono un po’ il lato dolente del piccolo furgoncino inglese, i quattro piccoli tamburi non sono certamente all'altezza dei moderni sistemi frenanti.
La velocità massima è di 115 km/h e tiene senza fatica i 90 km/h anche per lunghe tratte.
Il consumo medio è di 13/14 km/l, ma l'olio va rabboccato ogni 2/300 km. D'altronde si parla di un motore di derivazione agricola progettato negli anni ’20; infatti, una delle caratteristiche principali dei costruttori inglesi è stata sempre quella di sfruttare il materiale super collaudato a disposizione, come gli stampi dei vecchi basamenti in ghisa dei motori agricoli, adattandoli alle nuove esigenze con piccole modifiche.
Grazie a persone appassionate e competenti come il signor Danilo Biasiolo veicoli come il piccolo Pick-Up di casa BMC sono ancora in grado di circolare e dimostrare tutta la validità di un progetto nato 53 anni fa.

Curiosità

1965 Bradford on Avon, Wiltshire (UK):
Jem Marsch e Frank Costin titolari della MARCOS Cars, progettano e costruiscono una nuova veste aerodinamica in vetroresina per la Mini Cooper (versione sportiva della piccola utilitaria). Nasce la Mini Marcos.
I due soci vorrebbero iscrivere alla 24 h di Le Mans una loro Mini. Una muro di gomma burocratico rende la cosa molto difficile. I francesi boicottano la partecipazione alla 24h delle, così dette, kit-car inglesi. Sotto le mentite spoglie della Marcos, si cela, infatti, quella infernale vetturetta che ha osato vincere il Rally di Montecarlo sia nel ’64 che nel ’65 (nel ’66 riescono a squalificarla per una banale irregolarità sull’impianto luci).
Ma, William Dulles, intraprendente commerciante inglese di autoaccessori, amico di Jem Marsch, ha un’idea: assieme al suo socio parigino, Jean Louis Marnat, crea una scuderia francese, assembla la macchina a Parigi e ottiene, in tal modo, l’immatricolazione francese.
La Mini Marcos, non solo, riesce a correre la Le Mans del 1966, ma anche ad arrivare 15ma dietro a Ford Gt 40, Ferrari P4 e Alpine Renault. Non male per un’utilitaria col “vestito della festa”!


Come trasportò Dulles la scocca in vetroresina della Mini Marcos ed i motori preparati dal reparto corse BMC in Francia? Caricandoli sul suo Mini Pick-up ed attraversando, una volta sbarcato sull’altra sponda, mezza Francia fino a Parigi.

P.S. Per dovere di cronaca: la Mini Cooper vincerà anche il Montecarlo del ‘67