Il futuro della mobilità sostenibile difficilmente passerà attraverso un'unica soluzione: le risorse possibili a cui attingere sono numerose, dalle varie applicazioni della propulsione elettrica al gas naturale, nessuna attualmente in grado di assicurare da sola l'intero fabbisogno e coprire al meglio tutti gli impieghi.
Tra quelle che ultimamente sembrano essere state un po' trascurate c'è il biodiesel, che qualche anno fa era in prima linea tra le possibili alternative ai carburanti derivati dal petrolio, ma di cui oggi si parla meno, anche se già presente nel gasoli oche usiamo abitualmente.
Cos'è il biodiesel
Con il termine biodiesel si definisce un combustibile ottenuto mediante processi chimici dagli oli vegetali tipo colza, girasole, olio da cucina usato e altri similari. Il risultato è un liquido dalla viscosità simile al gasolio, miscelabile in qualsiasi proporzione con quello tradizionale e con caratteristiche analoghe e già utilizzato come additivo al normale gasolio per accentuarne il potere lubrificante, specie quando il gasolio di base è a ridotto contenuto di zolfo.
La differenza maggiore sta in un maggior potere solvente che richiede qualche accorgimento in alcune componenti del motore. Soltanto i Diesel di più recente generazione sono infatti predisposti per funzionare anche con biodiesel al 100%, mentre per quelli precedenti è consigliabile non superare la percentuale del 30%. Attualmente il suo impiego è limitato ai carburanti B7 o B10, sigla che ne indica appunto l'impiego nelle percentuali del 7 e 10%.
Benefici ambientali
Il grande vantaggio del biodiesel consiste nella sua origine: il fatto di derivare da fonti rinnovabili consente infatti di rendere più virtuosa tutta la filiera. Si stima che nel suo ciclo il biodiesel riduca fino a oltre il 50% le emissioni di CO2 in atmosfera esattamente come accade per il biogas, per il quale l'anidride carbonica emessa dalla generazione fino alla combustione è in parte bilanciata da quella assorbita in vita dai vegetali che saranno utilizzati per la sua produzione.
I limiti del biodiesel
Il biodiesel presenta anche alcuni limiti, nemmeno trascurabili. Se da un lato utilizzandolo migliorano le emissioni di CO2, sono invece peggiori quelle di ossidi di azoto, che sono risolte "a valle" mediante interventi sui motori e l’adozione di filtri e catalizzatori allo scarico del resto necessari anche per il gasolio normale.
Gli ostacoli maggiori alla sua diffusione come alternativa al gasolio sono economici, politici e sociali. Per soddisfare la richiesta globale di biodiesel si dovrebbe infatti pensare ad un'attività agricoltura specifica che andrebbe a discapito del fabbisogno alimentare, soprattutto delle zone più disagiate e al momento non è sostenibile assegnare grandi colture per soddisfare la produzione di un combustibile, anche se ha un impatto ambientale ottimo.
HVO, l'altra via
Lontano parente del biodiesel è il cosiddetto Hydrogenated Vegetable Oil o HVO, olio vegetale idrotrattato. Si tratta di un combustibile di elevata qualità ottenuto da olio usato, olio di semi di colza, olio di palma e grassi animali. Eccellente sul piano della riduzione delle emissioni di CO, che possono scendere anche del 90%, ha tuttavia sollevato problemi etici in quanto le aziende che lo utilizzano, come ad esempio Eni che lo impiega nel suo Diesel+, lo ricavano da olio di palma prodotto al costo di massicci processi di deforestazione e dunque considerato attualmente non sostenibile.